Un amore speciale …

La storia di Maria Teresa che ha vissuto un’esperienza di affidamento familiare.

Ho conosciuto Nighat a giugno del 2003, quando lei e le sue tre sorelle hanno cominciato il loro percorso presso il Borgo Ragazzi Don Bosco, e in particolare Nighat e un’altra delle sorelline del Bangladesh sono state inserite nella Casa Famiglia.

In quel periodo, io frequentavo il Borgo Ragazzi Don Bosco come volontaria da circa da tre anni. Ho iniziato facendo sostegno scolastico a bambini delle scuole elementari e medie. Attraverso questa esperienza ho scoperto che, pur trovando bello e divertente aiutarli nello studio, amavo di più parlare con loro. Così, l’anno successivo, quando a settembre del 2001 nacque la Casa Famiglia e mi fu proposto di esserne volontaria, scelsi di fare la “volontaria del tempo libero”, ovvero quella figura con cui i ragazzi della casa trascorrevano dei momenti di svago: chiacchiere, giochi, tv, passeggiate…

Ricordo ancora bene il momento del mio primo incontro con Nighat e le altre sorelline, e ricordo, soprattutto, quanto, in breve tempo, fu naturale instaurare un rapporto concreto con ognuna di loro. Nonostante provenissero da una storia difficile e dolorosa, e sebbene l’una profondamente diversa dall’altra, tutte erano accoglienti e capaci di creare un legame con gli altri. Nel tempo, conoscerle si è rivelata un’occasione unica di crescita e arricchimento personale.

Ricordo Nighat come la sorella che veniva considerata diversa dalle altre tre, perché libera dagli stereotipi della sua cultura di provenienza e poco docile a tutto ciò che non le appartasse nell’animo. La ricordo come la più introversa, la piccola donna a cui non piaceva chiedere, apparentemente auto-sufficiente e capace di bastare a se stessa, ma che in realtà aspettava che arrivasse un abbraccio, un bacio, una carezza, un affetto speciale tutto per lei.

Circa due anni dopo, mentre io maturavo il desiderio di voler fare qualcosa di più, il Borgo Ragazzi Don Bosco preparava il progetto di Semi-Autonomia per le quattro sorelline, ovvero l’opportunità per loro di tornare a vivere – finalmente – tutte insieme, in un appartamento vicino al Borgo. Avrebbero avuto accanto, come riferimento, un educatrice, una volontaria in servizio civile e, per ognuna di loro, una famiglia affidataria. Mi fu chiesto di diventare la famiglia di riferimento di Nighat. Ero emozionata, timorosa, ma contenta. Iniziai la formazione con il Movimento delle Famiglie Affidatarie del Borgo.

Credevo molto in quel progetto, e, nonostante, in quel periodo mia madre si ammalò gravemente, fui presente ad ogni incontro, tranne al penultimo, il giorno in cui mi madre morì. E’ importante per me sottolineare anche questo momento, perché il mio istinto all’accoglienza, alla cura e all’attenzione verso gli altri, la mia spinta alla solidarietà nei confronti di chi vive situazioni di disagio, sono stati alimentati, anche da mia madre, attraverso il suo esempio di donna, oltre che di mamma; e, perché ho visto in questa particolare coincidenza una sorta di “passaggio” da ragazza ad adulta capace di camminare da sola, per se stessa, ma anche per gli altri.

Divenuta famiglia affidataria per Nighat, il nostro profondo legame si è costruito, giorno dopo giorno fino ad ora, attraverso cose semplici ma importanti, attraverso quei modi comuni di vivere la quotidianità che non stravolgono gli equilibri individuali o famigliari. Abbiamo cucinato, fatto la spesa e riordinato casa insieme; abbiamo fatto shopping e passeggiato; Nighat mi ha raggiunto al lavoro ed io l’ho accompagnata a scuola; abbiamo vissuto insieme il raffreddore e l’influenza; abbiamo trascorso insieme i compleanni, il Natale e alcune vacanze estive; abbiamo con intraprendenza condotto l’automobile di sera verso mete da noi poco conosciute; abbiamo dipinto insieme e ci siamo dedicate alla cura dei fiori e delle piante; abbiamo vissuto e superato insieme gli esami scolastici e le delusioni sentimentali; abbiamo discusso, ci siamo scontrate ed emotivamente allontanate per poi riunirci più intensamente. Ci sono stati dei cambiamenti; quando con Nighat abbiamo iniziato il nostro cammino, io non avevo un uomo accanto, oggi c’è, ed il passaggio tra una condizione e l’altra ha creato in lei momenti di incertezza, certamente per paura di “perdere qualcosa”, invece, oggi lei sa, di avere, più semplicemente, un riferimento in più.

Il progetto di semi-autonomia si è concluso qualche anno fa, ma noi siamo ancora insieme. Quanto avvenuto tra me e Nigu, e quello che oggi l’una significa per l’altra, è anche ciò che rappresenta parte dell’attività del Borgo R. D. B., che, non si dedica al progetto educativo e di sostegno dei giovani unicamente in un periodo determinato dalla loro età e/o inserimento in uno specifico progetto, ma cerca di supportarli anche “oltre”, attraverso la ricerca di un lavoro e/o creando una rete di conoscenze e di affetti intorno a loro, che possano accompagnarli nella crescita.

Qualche giorno fà, la nostra storia è stata definita “Un amore speciale”, e così è, per me Nigu è un amore speciale, e io mi sento amata da lei in modo speciale.  Il nostro legame mi apparterrà per sempre,  Nighat fa parte di quella che io considero la mia famiglia, ovvero quel caldo insieme che va anche oltre il legame biologico.